Due giorni prima di San Valentino si è tenuta, a Monza, una conferenza sul tema “ La famiglia durante la crisi”. I correlatori, in ritardo di una ventina di minuti per la conferenza ed in ritardo di una sessantina d’anni sulla società, hanno voluto , mediante argomenti tecnici, economici, antropologici e sociologici dimostrare la più profonda verità in assoluto: che l’amore della famiglia non solo è bello, ma è anche necessario. Come ha affermato il moderatore Cristiano Puglisi, è fondamentale riuscire ad arginare questa crisi dei valori della famiglia prima che sia troppo tardi. E forse, in un’ottica speranzosa, sarà proprio nei momenti di massima difficoltà economica che si potrà riscoprire la gioia dell’amore coniugale duraturo e prolifico.
Lo psicologo Giuseppe Iannoccari ha introdotto la serata mettendo in luce la più grande disgrazia dell’era post-moderna: l’incapacità di discernere la differenza tra le ricchezze economiche e quelle affettive. Secondo un grafico da lui mostrato nel 2008, al prodromo della crisi c’è stata una riduzione, in generale, della capacità di percepire la differenza di valore che intercorre tra un bene materiale ed uno emotivo. Questo porre sulla stessa scala dei valori un ente di tipo fenomenico e uno di tipo noumenico ha esiti catastrofici: la povertà materiale, venendo percepita come avente lo stesso valore di quella famigliare, tende ad influire anche sulle dinamiche affettive. Ciò implica, inevitabilmente, che la crisi boicotta la tenuta stessa della coppia. Negli ultimi 7 anni si è assistito ad un aumento del 40% dell’insoddisfazione di coppia, dovuto proprio a questo porre sullo stesso piano cuore e portafogli.
Il nichilistico far convergere l’amore col denaro in tempi di ristrettezze economiche abbassa, quindi, la soglia di insoddisfazione della coppia, spingendo i soggetti verso un individualismo giustificato dalla necessità di sopravvivere. Cioè si conclude col ritiro sociale, causando solitudine, alienazione e tristezza.
Per far fronte al collasso della famiglia è necessario dunque rendersi conto che il denaro non può esser messo sullo stesso piano del benessere emotivo e bisogna agire di conseguenza: i genitori devono mostrarsi e sforzarsi di essere uniti, devono riscoprire il concetto di “flessibilità” e “perdono” tanto caro a Massimo Recalcati ed impegnarsi a mantenere un buon controllo sui figli. Evidentemente questo sforzo, questa tensione, non può essere unidirezionale: è importante che anche i figli, sentendosi parte integrante della “squadra famigliare” ne comprendano le dinamiche e ne prendano parte in modo attivo e comunitario, magari osando sacrificare un loro vizio per il bene maggiore della comunità famigliare.
I valori, quelli intuibili non più con la ragione ma con il Cuore, come direbbe Brentano, ora più che mai devono essere riscoperti. I princìpi, garanti di integrità famigliare, non possono, e non devono cedere di fronte ad una carenza di denaro. Anzi, in un’ottica cristiana, contrapposta a quella libertina ed egoista tanto cara al capitalismo, è proprio nel sacrificio di una parte di sé che si può assurgere ad una condizione superiore di gioa e di serenità. Quindi, paradossalmente, è proprio nella crisi e nel sacrificare una parte del proprio egoismo, per restare fedeli al proprio impegno d’amare, che la famiglia potrebbe trovare un nuovo vigore con cui sopravvivere, unita, alle disgrazie di cui non sempre se ne ha colpa.
Martino Cervo, direttore de Il Cittadino ha ribadito l’importanza della famiglia intesa come ammortizzatore sociale in caso di crisi. Discutendo anche del mercato editoriale odierno, Cervo ha chiarito come l’eccessiva fluidità della società attuale sia nefasta, sia per i valori in sé, sia per ciò che può farsi portatore di valori, in questo caso l’editoria ed il giornalismo. Il Cittadino è una testata che ha il dovere di chiamare le cose col loro nome, perciò la pretesa post-moderna di modificare il significato dei termini per riadattarli a contesti nuovi sempre più spesso risulta problematico. Il termine famiglia, infatti, ha un significato biologico ben preciso che non può essere appioppato aleatoriamente a nuclei di individui che convivono sotto lo stesso tetto come oggi si ha la tendenza a fare, al fine non arrecare disagio a chi si professa contrario all’omofobia. Cervo ha detto a riguardo che viviamo in un’epoca in cui vi è una confusione tra le realtà di fatto ed il diritto. Volendo essere onesti e precisi, bisogna infatti sottolineare che vi è un’abissale differenza tra avere dei vantaggi giuridici dal formare una vera e propria famiglia, implicante madre e padre. È solo in un contesto famigliare, nel senso ontologico del termine, che può aver luogo un sano e naturale sviluppo di sè.
L’antropologo Fabrizio Fratus ha concluso il discorso sulla famiglia ribadendo l’importanza della teoria politica aristotelica, secondo cui il nucleo famigliare è la struttura basilare della società. A sua detta, il paradosso è che ora il mondo è alla rovescia: Il lavoro, che dovrebbe essere il frutto di una vita famigliare felice, è posto come base, quindi l’uomo che che perde il lavoro viene automaticamente scaricato dalla sua donna. La società iperindividualista ha ribaltato la scala dei valori, rendendo la possibilità di rifugiarsi in un nido d’amore conseguenziale alla fortuna professionale. Tale individualismo esasperato ha portato la donna ad un voler pareggiare con l’uomo, trasformandolo da compagno a rivale. Così ha luogo la guerra di genere, causata proprio dalla mancanza di mansuetudine, flessibilità e cura che sono invece qualità che dovrebbero essere intrinseche del genere femminile. Margaret Tatcher disse che la società è composta di una moltitudine di individui e di fatto è ciò che purtroppo sta avvenendo: sentendosi legittimati dal liberismo capitalistico, gli individui – sempre più solipsistici – tradiscono la vocazione di “comunità famigliare” a beneficio del loro stesso ego. In futuro, ci ammonisce Fratus, questa tendenza all’isolazionismo porterà ad avere una società composta da grumi di individui sparsi e senza famiglia. Senza più la famiglia, persino il contratto sociale, tanto caro all’illuminista Jean Jacques Rousseau, si vedrà crollare.
L’identificare la propria felicità col benessere materiale costringerà gli individui a ritrovarsi vittime della solitudine del materialismo. In una società in cui si è inclusi unicamente per ciò che si produce il vuoto fagociterà gli individui-isola facendoli affondare negli abissi del mal de vivre. Il progressivo isolamento degli io gli uni dagli altri porterà le coppie ad essere sempre più instabili e precarie, abbassando così il loro potenziale riproduttivo. In italia, nel 2009, ogni donna aveva 0,86 figli a testa. Includendo anche le donne islamiche nel censimento, la cifra sale a 1,46. Queste cifre angoscianti testimoniano che noi siamo una società in via d’estinzione. Degli 8 milioni d’abitanti della Lombardia ben 6 milioni hanno avuto problemi con la questione dei divorzi. Grazie a politici come la Moretti, che vogliono promuovere l’idea del divorzio breve a vantaggio delle donne “libere ed emancipate”, la situazione non potrà che aggravarsi. Cosa sarà dell’Occidente tra vent’anni non lo possiamo sapere, ma, guardandoci alle spalle, possiamo aver la conferma di come, da quando negli anni ’90 è stata introdotta la moda dei conti separati, la situazione sia declinata. Affermare che la totale e reciproca fiducia debba essere alla base dell’amore coniugale pare scontato, ma a quanto sembra, avere il coraggio di porsi totalmente nelle mani dell’altro, oggi è qualcosa che non usa più.
Liliane Tami
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